Gli effetti della Meditazione

a cura di Giovanni Conte (Ottobre, 2011)

Quello che si sperimenta durante una meditazione, così come accade per un momento d’amore, può essere solo provato per esperienza diretta. e comunque gli effetti della meditazione sul corpo e sulla mente possono essere indagati dalla scienza. Oggi sempre più medici, neurologi e psicologi si confrontano con gli esperti in materia di spiritualità.
Le pratiche meditative sono onorate da molto tempo in Oriente, come dimostrano le statue raffiguranti un personaggio seduto a gambe incrociate in meditazione ritrovate nella Valle dell’Indo. Da sempre, gli insegnamenti indù, buddisti e jainisti, sviluppati in India, danno grande valore alle pratiche meditative come percorso per la pace della mente, l’etica del comportamento, la salvezza dalle sofferenze e la comprensione della verità.
Il buddismo in particolare ha sviluppato un elaborato corpo di conoscenze psicologiche anche grazie all’arricchimento ricevuto in seguito alla sua diffusione in altri paesi asiatici, dal vicino Sri Lanka fino al Giappone dell’Estremo Oriente, e anche perché si è concentrato sullo sviluppo della mente umana piuttosto che filosofeggiare e glorificare un dio creatore. Ciononostante solo da poche decadi la scienza sta prestando la dovuta attenzione a questa elaborata psicologia nata 2.500 anni fa.

Il cervello è composto da circa cento miliardi di neuroni, che sono in costante comunicazione l’una con l’altra attraverso impulsi elettrici e l’azione di alcune sostanze chimiche (i neurotrasmettitori). Il cervello però non è una “macchina muscolare” predisposta per eseguire compiti e comportamenti fissi.
Alcuni studi recenti indicano anche che il cervello può produrre nuovi neuroni dalle cellule staminali. “Grazie proprio a questa plasticità, virtù come la compassione o il perdono possono essere apprese attraverso l’allenamento mentale”. Le cure dei genitori, la musica, l’esercizio fisico e la meditazione giocano ruoli chiave nella regolazione delle nostre emozioni. "L’allenamento della mente" è il fondamento del sentiero buddista e le ricerche di neuroplasticità giungono a sostenere l’utilità della meditazione nel sostituire, a livello mentale, emozioni negative come l’odio, con emozioni positive come la compassione.

Il cervello non segue un sistema gerarchico centralizzato, ma piuttosto i neuroni responsabili della funzione si “accendono” simultaneamente e battono con lo stesso ritmo che si riscontra essere quello delle onde gamma del cervello (oscillazioni a 40 cicli al secondo). In altre parole, i processi mentali sono distribuiti su tutto il cervello, ma quando questo è stimolato a concentrarsi su un dato oggetto o soggetto, vari processi mentali si collegano per fornire una risposta preferenziale all’oggetto o soggetto al centro dell’attenzione. La sincronizzazione neurale è una delle scoperte più significative della moderna neuroscienza.

L’interesse della scienza verso le pratiche meditative è documentato innanzitutto dal fatto che le più significative tecniche di rilassamento occidentali vengono elaborate, nei primi decenni del secolo scorso, tenendo presente anche l’esperienza dell’oriente. In particolare, lo psichiatra tedesco J.H. Schultz, combinando la riflessione sull’ipnosi e quella sullo yoga (disciplina meditativa di controllo del corpo e della mente) elabora il più famoso metodo di rilassamento occidentale: il training autogeno. A partire dalla seconda metà del secolo scorso, si inizia a utilizzare strumenti moderni di indagine scientifica, come l’elettrocardiogramma (ECG) e l’elettroencefalogramma (EEG), per decifrare i cambiamenti fisici, che si realizzano durante l’esecuzione di esercizi di meditazione. Le conclusioni di queste prime indagini scientifiche sono le seguenti:

  1. a livello cardiorespiratorio, vi è una forte riduzione del ritmo (frequenza) del respiro e di quello cardiaco;
  2. a livello cerebrale, si registra uno stato di rilassamento diverso dal sonno.

Nella seconda metà degli anni Sessanta,Tomo Hirai, psichiatra giapponese, dà il via a un programma di studio sistematico su dei manacni zen, documentamdo i seguenti cambiamenti fisiologici:

  1. aumento dell’ampiezza e della regolarità delle onde alfa. (Queste onde cerebrali compaiono normalmente quando si chiudono gli occhi. Invece si documenta che nei monaci in meditazione queste onde compaiono, a livello delle cortecce frontali, anche a occhi semiaperti)
  2. diminuzione significativa del consumo di ossigeno, della frequenza respiratoria e di quella cardiaca

Ancora negli anni Ottanta e Novanta, gli studi diventano più sistematici e articolati.
Per esempio, si studiano meditanti, a vari livelli di preparazione e con diversi anni di esperienza, mentre ai tradizionali strumenti di registrazione dell’attività elettrica del cuore e del cervello, si associano analisi del sangue per indagare i livelli dei più importanti ormoni e neurotrasmettitori. Riassumendo questi lavori, si può dire che abbiamo:

  • regolazione della produzione di cortisolo, fondamentale ormone dello stress
  • aumento notturno della melatonina, fondamentale ormone del sonno con funzioni chiave nella sincronizzazione dei ritmi biologici dell’organismo
  • riduzione della noradrenalina, neurotrasmettitore prodotto sia dalle surrenali che dal cervello sotto stress
  • aumento della serotonina, neurotrasmettitore di grande rilievo per l’umore (antidepressivo) ma anche per la regolazione della fame e della sazietà e non solo
  • aumento del Dhea (deidroepiandrosterone), ormone prodotto sia dalle surrenali sia dal cervello, con ruoli molteplici sull’umore e sul sistema immunitario. Interessante è notare che l’aumento di questo ormone, negli studi realizzati, si è verificato soprattutto in chi ne aveva bisogno: donne e uomini sopra i 40 anni
  • aumento del testosterone, ormone maschile per eccellenza, ma che può svolgere un ruolo importante anche nelle donne perché, soprattutto in menopausa, costituisce una riserva per la produzione di ormoni femminili (estrogeni), tramite un meccanismo di conversione enzimatica dall’ormone maschile a quello femminile che si chiama aromatizzazione.

Più recentemente si è anche scoperta la comparsa di nuove onde cerebrali:

  1. scariche di onde teta soprattutto in fase di meditazione profonda
  2. onde gamma durante esercizi di visualizzazione

Sui ritmi teta si descrive una situazione davvero interessante: la comparsa di questi ritmi parte dalla linea mediale frontale del cervello dei meditanti ed è un segno inequivocabile dello stato meditativo profondo, di una liberazione dall’ansia (documentata anche da una minore attivazione cardiaca simpatica) che ricorda lo stato di “beatitudine” descritto dai meditanti; sulle onde gamma si chiariscono aspetti importanti del funzionamento del cervello, sia in condizioni normali sia durante diversi tipi di esercizi meditativi.

Le onde elettriche cerebrali si distinguono in base alla frequenza e cioè in base al numero di cicli al secondo misurati in Hertz (Hz). A bassa frequenza sono le delta (meno di 4 cicli al secondo, tipiche del sonno profondo), le teta (4-8 Hz) e le alfa (9-13). Ad alta frequenza, le beta (14-29) e le gamma (30-100), tipiche dell’attività.

Da questo punto di vista, si può dire che il ritmo lento, di tipo teta, è la modalità "online" con cui lavora l’ippocampo, è il ritmo di fondo che sincronizza altri ritmi ed è ciò che consente a questa area cerebrale di svolgere compiti legati alla formazione di nuovi ricordi e al richiamo di quelli già codificati. Ma perché il cervello ha bisogno di un ritmo ondulatorio per svolgere i suoi compiti? Perché qualsiasi compito, per potersi espletare, ha bisogno della integrazione in "network" di aree cerebrali separate e, spesso, anche molto distanti tra loro. Per esempio, quando percepiamo un oggetto, il nostro cervello lo scompone in una serie di qualità, relative al colore, alle dimensioni, ecc., che vengono elaborate da circuiti separati. Come avviene poi la ricomposizione in una rappresentazione unitaria è ancora un mistero, ma con certezza, adesso sappiamo che si registra una forte attività oscillatoria di tipo gamma che unifica popolazioni di neuroni collocati nelle aree visive, nell'amigdala, nell’ippocampo, nelle aree corticali associative parietali e frontali. In sostanza, l’oscillazione coerente di insiemi di neuroni permette la sincronizzazione di circuiti adatti allo svolgimento di determinati compiti.

In definitiva si può concludere che l’uso delle tecniche meditative produce:

  1. un rilassamento profondo che potenzia l’attenzione
  2. un maggior controllo dei circuiti neuroendocrini
  3. una maggior coerenza cerebrale e una migliore comunicazione tra gli emisferi

 

 

 

Fonte:

Antonia Carosella, Francesco Bottacciolo, "Meditazione Psiche e Cervello, Tecniche Nuove

Kosslyn Stephen, Le immagini nella mente. Creare ed utilizzare le immagini nel cervello, Giunti